La cultura dei cocktail bar, quella fatta di atmosfere ovattate, drink da meditazione e servizio formale, in alcuni casi lascia spazio a una nuova storia. Una narrazione che mette al centro le persone, la convivialità, l’esperienza di stare insieme. Non è una resa al ‘vorrei ma non posso’, ma il frutto di una scelta lucida e soppesata. In questa rivoluzione gentile, Argot Prati a Roma ha trovato il suo posto. Anzi, ha scelto di ricentrare il concetto stesso di bar secondo il proprio punto di vista: il bar come casa, dove tutti possono sentirsi accolti, senza barriere e senza rigidità.
Non abbiamo di certo la superbia o la presunzione di farci fautori della verità assoluta – spiegano Ivano Gambacorta proprietario e Livio Morena bar manager – La nuova cocktail list, Pop, ha tante chiavi di lettura. Quella che più spiega il nostro progetto è il fatto che Pop sia l’acronimo di “point of perspective”, e rispecchia a pieno proprio il nostro punto di vista. Abbiamo creato l’offerta perfetta secondo noi.
Argot Prati nasce cinque anni fa come costola di Argot Campo de’ Fiori, lo speakeasy che ha fatto la storia della mixology romana. Ma se il fratello maggiore giocava con atmosfere più intime e misteriose, Argot Prati è l’evoluzione di quella filosofia in chiave popolare e trasversale. “Siamo un cocktail bar con cucina, non un ristorante con cocktail bar” sottolinea Ivano, che insieme ai suoi due soci Francesco e Sirio guidano il progetto supportati da Livio in qualità di Bar manager. Ad Argot Prati il bar rimane il cuore pulsante, ma la proposta si allarga a tutte le ore del giorno: dal pranzo alla cena, al dopocena, passando per merende e aperitivi. Una visione all day long che abbraccia la città, offrendosi nella sua interezza e chi la vive ogni giorno o per poche ore.
Quello che distingue Argot Prati è la capacità di coniugare bar e cucina senza forzature. “Dopo anni di evoluzione, abbiamo scelto di non proporre un menù combinato obbligato” raccontano. “Abbiamo creato sartorialmente tutti i drink. Nel caso di Pop, ad esempio, ci sono proprio dei cocktail che suggeriamo con alcuni piatti ma la scelta resta sempre spontanea e individuale“. Una filosofia che lascia spazio alla libertà del cliente, modulando gli abbinamenti su gusti personali e combinazioni istintive. Siamo uno di quei bar in cui non sentirai mai un no secco come risposta a patto di avere i prodotti in bottigliera -ridono-”
La nuova cocktail list, non a caso, si chiama Pop. Un manifesto che celebra il bar come luogo di aggregazione e cultura popolare. Il pop è ovunque e per tutti: verticale, orizzontale, senza gerarchie. Anche il nome è palindromo, e proprio su questa simmetria si costruisce il menù, dove ogni drink ha un nome palindromo che richiama l’idea di bilateralità. “Per noi il bar è uno spazio di inclusione: da qualunque lato lo guardi, deve essere accogliente” spiegano. “Il menù è molto giocoso e di facile comprensione sia alla lettura che all’assaggio”.
La direzione è chiara: drink semplici, freschi, di facile comprensione, ma con una qualità altissima. Le preparazioni sono sincronizzate con la cucina, senza laboratori troppo sofisticati, ma con tecniche -come le cotture sottovuoto- scelte per esaltare i sapori naturali. Il cocktail più meditativo della lista è forse il twist sull’Old Fashioned, con liquore al caffè, amaro, vermouth dry e un fat wash di yoghurt alla banana. Ma ci sono anche cordiali al dragoncello e basilico, o sciroppi con niso rosso, passion fruit e ananas per dare nuova vita ai grandi classici.
La proposta food parte dalla tradizione italiana e romana, con ingredienti selezionati con cura maniacale. La carne dell’unico hamburger in carta viene dalla storica macelleria Feroci, la pasta fresca dal pastificio artigianale Pica. E poi ci sono le contaminazioni internazionali, come i bao al pollo alla cacciatora, che raccontano l’anima aperta e contemporanea di Argot Prati.
“Il nostro punto di vista è semplice” spiegano Ivano e Livio. “Qui tutti si devono sentire a casa. Vogliamo vedere gente sorridente, che si diverte, che ha voglia di tornare. Il cocktail è solo una parte di tutto questo“. La filosofia del pairing nasce spontaneamente, senza dogmi, e lascia spazio anche a birre artigianali o a un buon calice di vino. “Non ci interessa fare solo cocktail pairing, ci interessa che le persone stiano bene, che tornino con altre persone e così via. Dev’essere quello il motore economico di un bar”.
Forse è proprio questa la rivoluzione più grande: rimettere al centro l’essenza stessa del bar, come spazio di incontro e di felicità condivisa. Perché il bar, per intere generazioni è stato il vero “focolare domestico”, un luogo dove sfogare con una persona che ti vive per pochi minuti al giorno – o addirittura alla settimana- ma sa sempre cosa dirti.
Il bar è da sempre il luogo dove nascono centinaia di storie d’amore – e chi vi scrive, inguaribile romantico, spera che altrettante continueranno a nascere. E un motivo ci sarà se “ci vediamo da Mario prima o poi”, “Marco è dentro al bar, chissà cosa farà” o ancora “ci troveremo come le star, a bere del whisky al Roxy Bar” sono entrate nella storia della musica e in quella di milioni di persone.
Quella pop, ovviamente, non deve essere l’unica chiave di lettura. Non soddisferebbe le richieste di tutti, ma al contrario non può essere dimenticata. Soprattutto da chi non ha nulla da raccontare. Il lusso, scelto per moda e non per capacità, è solo arredamento.
Il bar è casa, il bar è pop.