C’è un fascino oscuro nella torba, un soffio di mare e terra, un aroma di alghe bruciate e muschio antico. Chi ama il whisky torbato lo sa: o lo ami, o lo odi.
Nessuna mezza misura. Secondo Giacomo Bombana, esperto di whisky e co-fondatore di whiskyfacile, il consumo di whisky torbato come Single Malt non è un feticcio per puristi nostalgici, ma un fenomeno molto più recente di quanto si pensi. Eppure, per molti, la torba è solo sinonimo di Scozia, di isole battute dal vento e di dram bevuti davanti a un camino acceso.
Visita il sito di Whiskyfacile
La necessità diventa tradizione
Il whisky torbato nasce da un’esigenza pratica. In passato, nelle isole scozzesi il combustibile più accessibile era proprio la torba. Veniva usata per scaldarsi, per cucinare e, naturalmente, per maltare l’orzo. “Non è che qualcuno un giorno si sia inventato il whisky torbato perché suonava bene“, spiega Bombana. “Era semplicemente l’unico metodo possibile per essiccare l’orzo in certe zone della Scozia. Il carbone è arrivato dopo e solo allora il whisky ha smesso di avere quel caratteristico sentore di fumo“. Con il tempo, però, questa tecnica è diventata una firma distintiva. “Nel ‘900, il whisky torbato veniva usato nei blend per dare carattere. Oggi è diventato un prodotto di culto, ma è quasi un falso storico parlare dei whisky di una volta“, osserva Bombana.
Non tutte le torbe sono uguali
Il tipo di torba utilizzato influisce enormemente sul profilo aromatico del whisky. “La torba di Islay è unica, ricca di alghe e minerali marini. Quando brucia, trasferisce all’orzo note iodate e salmastre. Al contrario, le torbiere dell’entroterra scozzese sono composte principalmente da fiori decomposti, quindi producono un fumo più dolce“, spiega Bombana. Persino in Giappone, o anche nel Nord Italia, e ovunque ci siano le giuste condizioni climatiche, si sono formate delle torbiere, e alcune distillerie stanno esplorando il loro potenziale. Ma la torba non è solo questione di origine. Conta anche il tempo di esposizione dell’orzo al fumo, la temperatura e l’umidità.
“Più ore l’orzo rimane nel kiln, più il whisky sarà torbato. Ma attenzione: non basta affumicare l’orzo, perché poi nella distillazione puoi perdere gran parte di quei composti. I fenoli, misurati in PPM (parti per milione) sono un dato tecnico, ma non sempre corrispondono a ciò che percepiamo nel bicchiere“, spiega Bombana. “Molto dipende da come si distilla: i fenoli possono essere raccolti o dispersi, quindi il numero da solo dice poco sulla reale intensità torbata di un whisky. È più marketing che scienza pura”.
Sostenibilità e impatto ambientale
Al contrario di quanto si possa pensare, l’uso della torba per whisky rappresenta solo una piccola percentuale del consumo globale, ben inferiore rispetto a quello destinato al giardinaggio e ad altri impieghi commerciali. Alcuni governi, come il Regno Unito, stanno discutendo limitazioni sull’estrazione della torba per ridurre l’impatto ambientale, con particolare attenzione all’uso in agricoltura. Sebbene le distillerie di whisky torbato si trovino a dover bilanciare tradizione e sostenibilità, il loro impatto diretto sulle torbiere è relativamente contenuto. Tuttavia, il crescente interesse per pratiche di produzione più ecologiche sta spingendo alcune distillerie a sperimentare alternative e a compensare il prelievo di torba con iniziative di riforestazione e tutela ambientale.
Il cambiamento del whisky torbato
C’è un’idea diffusa secondo cui i whisky di una volta fossero più torbati, ma non è del tutto vero. “Un Laphroaig degli anni ’70 aveva una parte fruttata tropicale che oggi è quasi scomparsa. Oggi il whisky torbato è spesso spinto all’eccesso, soprattutto nei prodotti più giovani”.
Tuttavia, non tutte le distillerie hanno seguito questa tendenza. Se da un lato alcuni brand enfatizzano la torbatura per rispondere alla domanda di un pubblico sempre più affezionato a questi sapori intensi, altri cercano di mantenere un equilibrio più raffinato e, l’evoluzione delle tecniche di distillazione e dell’invecchiamento, giocano un ruolo cruciale in questo processo
“Un whisky torbato giovane può risultare aggressivo e potente, ma con l’invecchiamento la torba si trasforma, diventando più sottile e complessa. È il fascino del tempo sul whisky“, conclude Bombana.
Per chi vuole avvicinarsi alla torba
Se il mondo del whisky torbato affascina ma spaventa al tempo stesso, ci sono etichette che permettono un ingresso graduale. Un whisky come Bowmore è un’ottima porta d’accesso, con la sua eleganza floreale e la torba delicata e armoniosa. “È una torba morbida, che lascia spazio a sentori fruttati e dolci. Un whisky che si fa amare facilmente“, suggerisce Bombana. Per chi invece cerca un impatto forte e deciso, l’Ardbeg 10 è l’ideale: “Un pugno di fumo e mare, con una freschezza agrumata che tiene tutto in equilibrio”.
Perché in Italia la torba piace così tanto?
C’è un dato curioso: il whisky torbato piace più in Italia che altrove. Questo non è un caso, ma una questione culturale. “Forse perché qui il fumo è meno presente nella cucina tradizionale, quindi lo troviamo più esotico e affascinante”, riflette Bombana. “A contribuire a questa diffusione c’è stato anche il lavoro svolto negli anni ’90 da Diageo e da esperti come Franco Gasparri, che hanno educato i palati italiani con i Classic Malts- come il Lagavulin, il Talisker e l’Oban –avvicinando un’intera generazione di appassionati a questa categoria “ spiega Giacomo.
Il whisky torbato è un’esperienza sensoriale, un viaggio tra mare, terra e fuoco a bordo di un treno a “fumo” che conquista e seduce. Forse è proprio questo il segreto del suo fascino: il richiamo ancestrale alla combustione lenta, all’odore della legna che arde, alla memoria di un fuoco che non si spegne mai davvero. Non è solo una bevanda, ma un simbolo di carattere, un’idea che evolve nel tempo, proprio come il whisky stesso.