Quando si parla di spirits messicani, l’associazione immediata è agave. Tequila e mezcal stanno conquistando cocktail bar in tutto il mondo, diventando status symbol della mixology contemporanea. Ma c’è chi lavora per raccontare un’altra “faccia dell’America”. A guidarci è Angelo Canessa, massimo esperto della materia, che ci accompagna alla scoperta di una nuova wave di distillati messicani: rum, whisky e gin che rompono lo stereotipo e rivelano un Messico inaspettato.
Storia della distillazione messicana
«Il Messico ha radici distillative profondissime», spiega Canessa. «Gli alambicchi arrivarono con la colonizzazione, ma anche attraverso le rotte commerciali dagli antichi imperi asiatici. Alcuni modelli di distillazione ricordano il metodo ancestrale “alla ceca” usato per il baijiu cinese: tutto avviene nello stesso recipiente, senza rettifica».
Queste tecniche, tramandate nei secoli, si sono adattate a materie prime diverse: non solo agave, ma soprattutto canna da zucchero. In Messico, questa pianta ha sempre avuto un ruolo fondamentale, anche per la produzione di rum artigianali di montagna come Paranubes. Un distillato portato in Italia da Velier in tempi non sospetti, grazie all’intuito di Luca Gargano. «La canna è più accessibile dell’agave: raccolta annuale, maggiore resa e un legame altrettanto forte con il territorio. In molte zone sopra i 1800 metri è l’unica coltura possibile».
Spesso dimenticata, la produzione zuccheriera messicana, non è solo importante in termini economici, ma si fa forza di un’elevata qualità. Non è un caso se cocktail come il Batanga siano nati qui, dove un prodotto come la Coca Cola ha un sapore completamente diverso.
Canessa sottolinea anche il valore della tequila mixto, spesso sottovalutata: «Il messaggio dietro il tequila mixto è incredibile. Figlia della consapevolezza di non poter cannibalizzare ogni angolo del Messico, oggi hai esempi straordinari. Prodotti che con il 70% di agave e il 30% di canna riuscirebbero a ingannare molti in una degustazione alla cieca».
Whisky messicano? Sì, grazie
Ma il fermento non si ferma al rum. Se la canna ha guidato l’evoluzione oltre l’agave, ora anche il mais si fa protagonista. E lo fa in modo sorprendente, nel mondo del whisky. Tra i pionieri c’è Ivan Saldaña, mente dietro Montelobos, che ha fondato una distilleria innovativa per produrre whisky usando mais nixtamalizzato: una tecnica ancestrale che sfrutta enzimi naturali derivati dall’argilla per trasformare gli amidi del mais senza maltaggio. Il risultato? Abasolo, un whisky 100% messicano, e Nixta, una versione edulcorata e affascinante, in una bottiglia che ricorda una pannocchia.
Nel cuore di Città del Messico… spunta il gin
Accanto alla canna e al mais, anche le botaniche locali diventano protagoniste di una nuova generazione di gin. Fondata nel 2015, Condesa Gin è il frutto dell’ingegno di tre visionari: Ben Brooksby, Jordi Nieto e Hillhamn Salome, quest’ultima non solo co-fondatrice ma anche Maestra Destiladora. Una distilleria urbana, nata nel cuore di Città del Messico, che produce gin con alambicchi in rame, alcol di cereali locale e botaniche esclusivamente messicane: salvia messicana, frutto del nopal – cactus- e palo santo. Un profilo aromatico che ricorda l’incenso. «È un gin pensato per la miscelazione, sviluppato insieme a bartender locali, ma con un’identità fortissima», racconta Canessa.
La missione di Condesa Gin è stata chiara sin dall’inizio: offrire al mondo una visione del Messico che vada oltre l’agave e le immagini stereotipate. Le botaniche utilizzate, come palo santo, salvia, xoconostle e azahar, sono ispirate al loro uso nei rituali spirituali e cerimonie tradizionali messicane. Ogni ingrediente è selezionato a mano, celebrando la biodiversità del Messico e offrendo un’esperienza sensoriale che riflette la profondità culturale del paese.
Il boom dell’agave ha aperto la strada, ma oggi il Messico distillato mostra un volto più complesso. E mai come in questo caso è giusto parlare di fermento, nuove distillerie, nuovi stili, e un ritorno alla materia prima autoctona con approcci tecnici e culturali profondi. La sfida è educare il pubblico a guardare oltre i soliti cliché. Il Messico ha ancora moltissimo da raccontare, un sorso alla volta.