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Sake: le tipologie e l’utilizzo in miscelazione

Sake

Dopo aver parlato della produzione del sake e degli ingredienti necessari con il fondatore di Sake Company e responsabile italiano della Sake Sommelier Association Lorenzo Ferraboschi, oggi andiamo ad approfondire, con lui e con il bartender di Carico Milano Domenico Carella, altri due aspetti di questo affascinante mondo: le numerose tipologie e l’utilizzo in miscelazione.

 

Le tipologie di sake

I sake sono classificati in diverse categorie, definite principalmente dalla percentuale di levigatura del riso (seimaibuai) e dall’eventuale aggiunta di alcol a fine fermentazione. Levigando il riso, si eliminano elementi indesiderati come proteine e grassi, garantendo maggiore aromaticità ed eleganza nel prodotto finale. Le sette tipologie sono:

  1. JUNMAI (% di chicco rimasto variabile, senza alcool aggiunto): non c’è una levigatura minima imposta per questa classe, anche se la maggior parte dei Junmai sono levigati intorno al 70%. Tendenzialmente, i sake Junmai non hanno come obiettivo quello di sprigionare aromaticità ma puntano maggiormente alla persistenza di gusto e carattere.
  2. JUNMAI GINJO (60% di chicco rimasto, senza alcool aggiunto): la parola Ginjo indica il bouquet di aromi che caratterizza questa classe pregiata di sake, solitamente fruttato e floreale. Gusto morbido e avvolgente, preferibilmente da gustare freddi
  3. JUNMAI DAIGINJO (50% di chicco rimasto, senza alcool aggiunto): per la produzione dei sake di questa categoria, etichettata come la più pregiata, si seleziona solo il miglior riso, che viene levigato almeno al 50%, in modo da ottenere soprattutto una pronunciata eleganza nel gusto e nella struttura.
  4. HONJOZO (70% di chicco rimasto, con alcool aggiunto): i sake Honjozo hanno una levigatura minima richiesta del 70% e vengono prodotti con una leggera aggiunta di alcol, che conferisce corpo e fragranza. Ideali anche per essere scaldati
  5. DAIGINJO (50% di chicco rimasto, con alcool aggiunto): si parla di Daiginjo per riferirsi a una classe di premium sake con una parte di alcol aggiunto alla fine della fermentazione. L’alcol aggiunto accentua fragranza e aroma e conferisce maggiore longevità al prodotto.
  6. GINJO (60% di chicco rimasto, con alcool aggiunto): si parla di Ginjo per riferirsi a una classe di premium sake con una parte di alcol aggiunto alla fine della fermentazione. L’alcol aggiunto accentua fragranza e aroma e conferisce maggiore longevità al prodotto.
  7. FUTSUSHU: futsushu è il più prodotto e bevuto in Giappone, con caratteristiche di lavorazione più libere e meno severe, mantenendo però un’alta qualità di prodotto finale

A ognuna di queste sette categorie possono poi applicate ulteriori lavorazioni (invecchiamento, doppia fermentazione) o meno.

 

I sake adatti in miscelazione (risposta di Domenico Carella)

Ogni sake ha una sua gamma aromatica, che gli conferisce una relativa collocazione nel mondo della miscelazione. Per fare due esempi, un futsushu, con le sue note lattiche potrebbe dare corpo e struttura a un drink come un Adonis o Manhattan, mentre un junmai daiginjo, soprattutto quando il suo gusto è tendente a quello della banana, potrebbe essere l’ingrediente perfetto in un drink dalle note esotiche.

 

 

Le tre regole del consumo

Tre sono le regole per il consumo del sake:

  1. Più chicco rimane attaccato al riso, e quindi più è alta la percentuale di sbramatura, maggiore è la libertà di temperatura di servizio. Il sake si può scaldare, raffreddare o servire a temperatura ambiente, mentre con percentuale di sbramatura più basse è sconsigliato riscaldare e consigliato invece rinfrescare
  2. Se il sake si rinfresca bisogna servirlo in un bicchiere più grande, se si riscalda in uno più piccolo
  3. Bisogna servire il sake alla temperatura del piatto

 

Le bevande a base sake

Oltre a essere consumato come tale, il sake può costituire la base di produzione per altre bevande, come umeshu o yuzushu. Quest’ultime si ottengono dalla macerazione di un elemento terzo all’interno del sake finito, che di solito risulta non filtrato, per via di un’alcolicità iniziale maggiore, che sarà stemperata con la diluizione che avverrà durante il processo. Anche lo shōchū si può ottenere a partire da sake e, in questo caso si tende a preferire un prodotto di partenza piuttosto economico, perché in via della distillazione inciderà poco sul risultato finale. Si tende quindi a preferire un Junmai, non addizionato di alcool e nemmeno sbramato, o un Genshu, non diluito, tra i 18 e 19% vol.

 

 

Ci puoi dare due ricette di cocktails con sake? (risposta di Domenico Carella)

Certamente. Il primo è un mix perfetto per antonomasia di 2 vini fortificati, sherry e vermouth, ‘aiutato’ da un’ulteriore sferzata di sake futsushu. Nel secondo il sake daiginjo dà una spinta agli altri due ingredienti.

 

Adonis revival

  • 40 ml vermouth rosso
  • 20 ml kenbishi futsushu
  • 15 ml sherry fino

In un mixing glass, con ghiaccio, versare il vermouth rosso, lo sherry fino e il sake. Miscelare con un bar spoon. Versare in una coppetta ghiacciata. Guarnire con peel di arancia

 

Sake colada

  • 25 ml di lime
  • 20 ml di amazake di riso
  • 35 ml di sake konishi daiginjo
  • 15 ml di shochu alle foglie di fico

Inserire in uno shaker tutti gli ingredienti. Shakerare energicamente. Versare in un bicchiere largo con chunk di ghiaccio cristallino. Guarnire con un coin di foglia di fico.[:]

Redazione MT Magazine

Redazione MT Magazine

MT Magazine è una finestra sempre aggiornata sul mondo della miscelazione italiana e internazionale. Nata nel 2017, da un’idea di Laura Carello, il progetto ambiva a creare una guida circoscritta ai cocktail bar di Torino e Milano, in pochi anni poi si è ingrandita al punto tale da diventare un vero e proprio magazine di riferimento per il settore della mixology e gli appassionati di cocktail.

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