Esperto professionista dell’accoglienza, Tommaso Cecca è da 7 anni il volto di Camparino. Nei primi anni a Milano, nell’iconico locale ospitato in Galleria Vittorio Emanuele e, da un anno a questa parte, a livello internazionale, con il ruolo di Global Head of Camparino Licensing and Mixology.
Cosa significa rappresentare un brand così importante? Quale carriera lo ha portato così in alto? Ecco la nostra intervista.
Nel 2023, diventavi Global Head of Camparino Licensing and Mixology. Che salto di qualità ha rappresentato nella tua carriera?
Sono stato per anni Store Manager & Head Bartender di Camparino in Galleria a Milano. Oltre a occuparmi della miscelazione e del suo stile e a coordinare l’intera struttura, mi sono occupato anche del rilancio di quello che Camparino è, una vera marca. Il passaggio di ruolo è stata un’evoluzione naturale di un percorso professionale ventennale. Adesso, mi occupo di promuovere il brand Camparino in Galleria in tutto il mondo con l’obiettivo di sbarcare nei mercati focus dei prossimi anni, quali Asia e Regno Unito. Il nostro è un concetto italiano di successo. In questi mesi stiamo sviluppando un concept dal sapore milanese, quindi più fedele possibile al Camparino in Galleria, ma che sia anche capace di adattarsi al mercato estero. Una volta sicuri, potremo dedicarci alle nuove aperture.
L’obiettivo non è diventare una catena, ma continuare a produrre ospitalità di grande qualità con il nostro iconico Bar di Passo e la Sala Spiritello, raccontando questa storia milanese a tutto il mondo. Quella del bere bene, responsabile e del rito dell’aperitivo. Nelle vesti di Global Head of Camparino Licensing and Mixology, sono spesso impegnato nella supervisione della mixology di Camparino in Galleria e del brand Campari su attività estremamente esperienziali.
L’associazione con il cinema è ormai conclamata e ci vede impegnati sui più importanti eventi internazionali quali il Festival del Cinema di Cannes, Venezia o il SAG award a Los Angeles. Esplorando nuovi territori confinanti con l’arte contemporanea, vedi Art Basel, dove quest’anno dove abbiamo presentato con Galleria Campari una mostra dedicata a scatti iconici da bar dal quale hanno preso ispirazione nuovi cocktails. Infine, esercizi on trade dal profilo molto esclusivo come in queste settimane a Monte-Carlo, dove è possibile degustare i nostri cocktails nel pop-up dell’Hôtel Hermitage nel cuore della costa azzurra fino al 15 settembre.
Qual è il bilancio di quest’anno?
I primi sei mesi sono stati molto belli e sfidanti, perché mi sono trovato a reinterpretare un concept italiano che dev’essere leggibile anche all’estero, prima ai partner e poi al pubblico. Mi sono anche accorto che descrivere tutti questi anni di progetto sul punto vendita è stato un lavoro immenso.
A Milano, invece, il mio ruolo direttivo è stato acquisito da Stefano Gioffredi in qualità di store manager, mentre tutta la parte di creatività resta in carico al team di bartenders, tra cui Stefano Agostino e Giuseppe Capuano, con cui abbiamo presentato l’ultimo menu. Il tema è in continuità con i menu precedenti: abbiamo deciso, ancora una volta di puntare su sapori e gusto. Abbiamo scelto alcuni ingredienti molto aromatici, quali fava tonka, pomodoro, caffè e agrumi, e su questi abbiamo costruito delle ricette decise dal punto di vista gustativo.
Anche i tre outlet di Camparino In Galleria ricalcano lo stile di sempre: il Bar di Passo è il luogo dell’aperitivo rigorosamente servito in piedi, nella Sala Spiritello serviamo un menu stagionale con una selezione iconica ed estremamente personalizzata, in cui non mancano i nostri bestseller degli ultimi 4 anni, mentre nella Sala Gaspare abbiamo creato un menu dedicato a tre grandi capitoli, rispettivamente al fondatore e grande alchimista Gaspare Campari e alla sua creatività, al suo studio con la libreria storica da oltre 7000 ricette che vanno da metà 800 a metà 900, e ai vintage cocktail invecchiati in tre barriques da 250 L. Il primo è preparato con vermouth e Campari invecchiati, il secondo è un Boulevardier invecchiato in botti di ex cognac e il terzo è un Brooklin cocktail invecchiato in botti di Campari. Il tutto in Piazza del Duomo.
Facciamo un passo indietro. Da dove sei partito e che percorso hai fatto per arrivare a dove sei oggi?
Ho iniziato molto giovane, avrei voluto fare il giornalista e ho studiato per questo ma la sfortuna di avere un amico di famiglia con un bar sotto casa non ha giovato al sogno iniziale. All’inizio sembrava un hobby doposcuola, poi è esplosa la passione. Successivamente, sono andato per un breve periodo a Londra per imparare la lingua e lì ho avuto l’occasione di lavorare nel ristorante giapponese Zuma, dove ho scoperto un grande spazio nel nostro settore strettamente correlato alla società, e ai suoi usi e costumi. All’età di 23 anni sono tornato in Italia per l’apertura di Just Cavalli a Milano, ai tempi un’eccellenza assoluta, mentre pochi anni più tardi è seguita un’altra esperienza al Trussardi alla Scala. Qui ho trascorso una parte importante della mia vita, 11 anni, in cui sono molto cresciuto managerialmente e posso dire che è iniziata la vera e propria affermazione professionale. Dopodiché, le prime collaborazioni con Campari risalgono al 2009 dove con Dario Cuccurullo e Paola Baravalle abbiamo battezzato la nascita di Campari Academy e le prime timide attivazioni di brand dell’era del bartending che oggi conosciamo.
Sette anni fa è arrivato Camparino, credo una naturale conseguenza di un percorso fatto di qualità, fiducia, rispetto e lealtà. Questa missione ancora in corso racconta un frammento di Made in Italy a marchio Campari, un po’ come la tessera dell’iconico mosaico di Angiolo D’Andrea. Sinteticamente, questa è la maratona che mi sento di promuovere con le nuovissime generazioni che spesso vivono nel sogno del raggiungimento di obbiettivi immediati, un consumo vorace, di poco gusto, spesso poco responsabile.
Quali sono i valori aziendali che ti hanno conquistato di Campari?
Creatività, pragmatismo, serietà, lungimiranza, rispetto e l’unione sono alcuni dei valori. Nel mondo attuale, ormai tutto si frammenta, niente convive per un periodo troppo lungo. Qui, invece, succede l’opposto, perché c’è una bella atmosfera e le persone hanno la possibilità di crescere continuamente grazie a formazione, esperienza e cultura dell’errore. Da noi si può provare e si può sbagliare. Questo è fondamentale, spesso non c’è bisogno che qualcuno mi dia nuovi stimoli perché le sfide si autoalimentano. Questo fa un po’ parte del mio carattere e sposa la cultura Camparista. Bisogna darsi ambizioni importanti, soprattutto quando si svolgono ruoli estremamente attivi e fare tutto il possibile per raggiungerle, come stiamo facendo. La diversità e l’estrema attenzione all’individuo non sono scontate su strutture complesse e globali così estese.
Nel 2022 il Camparino In Galleria è stato new entry nella The World’s 50 Best Bars con il 27° posto. Era un risultato che vi aspettavate? Avete lavorato per questo? Se sì, in che modo?
Per noi è stato un grandissimo risultato in un momento pandemico molto complesso. Più che il 27° posto in sé nell’anno, è stata una grande soddisfazione essere riconosciuti per tre anni tra i 100 migliori bar al mondo con tanti altri colleghi italiani. Ciononostante, il nostro approccio alla clientela non è cambiato e continueremo a lavorare per esserne riconosciuti. E lo dimostrano i 300.000 clienti, in aumento costante ogni anno, che, una volta varcata l’uscita del bar, raccontano la propria esperienza. Indipendentemente se hanno consumato un Campari seltz al Banco o una sessione esperienziale di 3 ore in sala Gaspare.
L’approccio all’ospitalità e il business contemporaneo sono oggi totalmente cambiati. Il nostro autentico flagship deve interagire con dinamiche di business diversificato, come il merchandising, come nel caso della nostra linea di cocktails imbottigliati. Certo, mancherà un po’ di contesto a casa, ma siamo sicuri che qualitativamente siano impeccabili e che abbiano raggiunto un livello inimmaginabile 5 anni fa. Abbiamo poi tutta un’attività di eventistica, che ci vede collaborare, internamente o esternamente, in eventi off trade, on trade o crossing partnership con brand come Ferrari, Chanel, Cartier, Alfa Romeo e molti altri. In questo caso, la nostra mission è dare un valore alle attività promozionali. Credo che oggi Camparino possa essere definito una valida scuola capace di mostrare la giusta strada a molti giovani bartenders. Non è un caso che negli ultimi 7 anni abbiamo già formatovalidi professionisti. Insomma, è sempre un punto di partenza, mentre il mondo intorno a noi evolve e cresce positivamente.
Cocktail e distillato preferito?
Il Negroni, perché credo che sia la ricetta più complessa a base di due prodotti su tre che rappresentano l’industria degli spirits italiani e due città dove l’aperitivo nasce: Milano e Torino.
Per quanto riguarda il distillato, sono un grande appassionato collezionista di rum e distillati tropicali. Mi piace però sempre rimanere aggiornato sulle tendenze.