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Luca Manni, lo sceriffo dietro i banchi del gruppo Valenza.

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luca manni

Dopo averci guidato alla scoperta del progetto Giacosa 1815 – che nei giorni scorsi si è classificato 252esimo nella Top 500 Bars– abbiamo intervistato Luca Manni, per tutti Lo Sceriffo. Bar manager d’esperienza, classe ’83, che negli anni è diventato una vera e propria istituzione della mixology a Firenze. Siamo partiti dai suoi inizi, aiutandolo a scavare nei ricordi; arrivando a parlare di futuro e di consigli alle nuove generazioni.  

Come ogni storia che si rispetti io partirei dall’inizio. Cosa ti ha spinto ad entrare in contatto con questo mondo e quando hai capito che il tuo futuro potesse essere nella mixology? 

Parto col dirti che mi è sempre piaciuto, non saprei nemmeno dirti il perché. Ho sempre sognato di avere un mio bar. Mi piaceva quest’idea, stavo facendo giurisprudenza e facevo piccoli lavori per sostenermi ma in cuor mio volevo aprire un bar. Lo ripeto, forse per la trecentesima volta a mia mamma e lei mi dice: “Come pensi di aprire un tuo bar se non ci hai mai lavorato un giorno dentro”, aveva ragione. E lì l’illuminazione, lascio il lavoro, lascio l’università e do inizio alla mia nuova vita. Mi approccio in maniera inconsapevole pensando che in un bar ci sono solo due ruoli uno è al banco e uno è in sala, sapevo solo che mi piaceva bere e quindi faccio un corso di bar, l’unico che trovo su Firenze che non fosse AIBES, esco e cerco un lavoro. Fortuna volle che l’ex fidanzato di mia cugina, barman in una discoteca, mi diede un contatto per lavorare in un locale e iniziai. 

luca manni

Entri quindi nel mondo delle discoteche? 

Ho fatto un po’ di anni fra locali, eventi spot e discoteca. Dopo poco mi rendo conto che c’è un bar dietro al bar, capisco che c’è un bar fatto per fare e un bar fatto bene. Inizio a conoscere qualche professionista del settore fiorentino e a pormi delle domande che non mi ero mai posto prima, ma parliamo di basi. Perché è meglio una cosa fredda che calda, perché raffreddo il bicchiere, perché questo lo stirro e questo lo shakero. Capito questo mi sono reso conto che i miei primi anni erano stati buttati a fare un altro lavoro. Non ero in focus, non mi facevo domande. Lavoravo come un robot. Così inizio a pormi delle domande, questo prodotto posso crearlo da me? Proviamo a frullare delle fragole piuttosto che usare uno sciroppo, proviamo a stirrare questo drink? E da lì le domande non finirono più. Questo è un invito per chiunque, farsi delle domande ti cambia la vita e il modo di porti nei confronti del tuo lavoro. Ti ritroverai a farne completamente un altro. 

Oggi sei il Bar Manager del gruppo Valenza, qual è stato il percorso che ti ha portato qui?  

Io lavoravo a La Ménagère e a questo va aggiunto il progetto Florence Out Of Ordinary quello del gruppo Student Hotel. L’ambiente perfetto, entrambi beneficiavamo l’uno dell’altro, loro del mio know how io della loro immagine e il progetto cresceva in maniera positiva. Ad un certo punto inizio a farmi delle domande, sono arrivato al limite di quello che posso dare in Ménagère? Ci sono prospettive di cambiamento? Mi sentivo ad un bivio, ero arrivato al massimo di quello che poteva offrirmi la proprietà in quel momento, e non a livello economico, e allora si apre dentro di me un’idea. Mi accontento e mi rilasso o cerco un nuovo stimolo che mi faccia ributtare in gioco? Non mi sentivo, e non mi sento, così vecchio da decidere di accomodarmi sugli allori. 

Molto casualmente, tramite un contatto in comune, incontro Marco Valenza che avevo conosciuto alla premiazione del Gambero Rosso, quando la Ménagère vinse il premio miglior aperitivo d’Italia e io venni chiamato a rappresentare l’azienda, in concomitanza c’era la premiazione dei tre chicchi e delle tre tazzine e c’è il gruppo Valenza per Gilli. Più avanti, Marco mi propose un’operazione per me incredibilmente importante, riaprire Giacosa – come abbiamo già raccontato nel pezzo dedicato

caffe gilli

Quello è il progetto che mi ha convinto, contestualmente però prima dell’apertura dovevo lavorare. Del gruppo non avevo mai guardato con aria interessata Gilli e Paszkowski anche perché c’era Luca Picchi, rimaneva il Move On che non conoscevo, pur essendo così centrale. E nel frattempo che iniziano e finivano i lavori di Giacosa, per non stare un anno fermo o lavorando ad un altro indirizzo pensando ad un altro progetto ho iniziato a lavorare al Move On, ed è stato come un ripartire. Ero di nuovo da solo, fatti i carichi, le pulizie, le preparazioni, una gran bella sfida.

Parti dal Move On, e quando prendi sotto la tua ala tutto il gruppo? 

 Da quel momento poi è iniziata la crescita del gruppo per una serie di fattori che si sono concatenati. Dopo il mio arrivo il Move On entra nella top 500 migliori cocktail bar del mondo. Contestualmente c’erano dei problemi al Paszkowsky, e allora mi viene prospettata la possibilità di occuparmi anche di questo e per me è stata una sfida ancor più grande del Move On. Mi affascinava il poter cambiare qualcosa, anche per una serie di motivazioni sentimentali private. Inizialmente veniva visto come strano, bisognava disancorare, rompere gli ormeggi e riconquistare le persone, mettendoti in discussione per primo, dimostrando le persone che siamo, come lo facciamo riuscendo a trasmettere il nostro gioco. Il 99% sono i valori personali, l’1% sono i valori tecnici. La bravura si apprende, se noi siamo preparati ad apprendere, il valore umano no.

Gilli viene di rimando, perché a quel punto si inizia ad entrare in un limbo. La proprietà ha trovato in me dei valori che si sposano bene con i loro, e io mi sono sempre trovato bene con loro. L’idea di arrivare allo stesso livello con più bar, in maniera diversa, ha portato nelle mie mani e dei miei collaboratori la gestione di tutto il gruppo. Cercare un’idea comune, differenziandola per insegna ma arrivando allo stesso punto. Anche banalmente per accordi con i fornitori, così come le preparazioni comuni fatte in un solo colpo per risparmiare tempo. Si inizia a parlare di economia circolare, di riciclo e zero spreco, è tutto più facile lavorare per più insegne e ti rende più potente. Collaborando fra bar riesci a fare il salto di qualità, centralizzando e provando ad essere più forti produttivamente.  

Paszkowsky Gilli, il Move On e da un anno Giacosa, realtà dello stesso gruppo ma ognuna con un’anima distinta e separata. Come hai fatto, dalla stessa penna a far uscire tre romanzi diversi. 

Guarda credo sia stato anche più facile del previsto perché sono già romanzi diversi. La copertina è la stessa ma sono tre racconti diversi, uno è un fantasy, uno è un classico, uno è una storia per bambini e l’altro è la casa del Negroni. –ride- Paszkowsky e Gilli, ad esempio, pur essendo molto vicini, addirittura nello stesso palazzo, sono due realtà molto diverse vissute da clientela diversa e con personale molto diverso e prodotti diversi. E tutto questo è reso possibile non da me, ma dallo splendido gruppo che abbiamo creato, e continuiamo a creare negli anni. Da solo riuscirei a fare ben poco, è la consapevolezza che ho dei miei ragazzi a farmi sentire sereno. 

A chi sogna di entrare in questo mondo che consiglio daresti? E qual è stato il più prezioso per te? 

Il lavoro al pubblico, e soprattutto in un bar, non è per tutti. Ti ci approcci per scherno perché ti sembra un lavoro divertente e poi in due tre anni ti ha mangiato. Serve tanta, tanta empatia. Io consiglio di rifletterci tanto, capire se davvero questo è il lavoro che vuoi fare, perché non è un lavoro per tutti. Questo ti priva di tanto, non lo puoi fare perché non sai cosa fare, o perché sembra figo, anzi arriverai ad odiarlo. Serve costanza, abnegazione, dedizione. Non sei la persona più estrosa del mondo? Non sei il più affascinante? Non sei il più bravo? Non importa, gocciolina su gocciolina diventi il migliore. L’ossessione batte il talento. 

Ultima domanda, ormai di rito. Mettiamo che domani finisse il mondo. Salva un distillato e la ricetta di un cocktail per le generazioni future. 

Allora, vado contro corrente e non ti dico il negroni – ride- ma l’Old Fashion per una sola differenza. L’Old Fashion lo posso bere anche al mattino, in certe situazioni ovviamente – ride- il negroni mi torna difficile. Come distillato ti dico la Vodka. 

luca manni

 

 

 

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Antonio Galdi

Antonio Galdi, classe 00, si laurea nel 2022 in scienze gastronomiche mediterranee presso l’università di Napoli Federico II. Inizia a lavorare come aiuto cuoco in vari alberghi e ristoranti ma dopo un master in critica enogastronomica, inizia a pubblicare i suoi primi articoli. Adora la cultura pop legata al cinema, alla musica e alla letteratura italiana.