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Shōchū: il distillato che condivide molti aspetti in comune con il sake

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Dopo aver approfondito il mondo del sake e dell’umeshu con il fondatore di Sake Company e responsabile italiano della Sake Sommelier Association Lorenzo Ferraboschi, oggi andiamo ad approfondire un altro simbolo del beverage nazionale, lo shōchū. Un distillato che si ispira al sake ma poi prende la via della distillazione, un po’ l’equivalente dell’acquavite per il vino. 

 

Che cos’è lo shōchū 

In giapponese shōchū significa letteralmente liquore bruciato, così come il nome dato all’alambicco utilizzato in fase di distillazione, la quale rappresenta un processo tramandato dagli inglesi ai giapponesi nell’epoca Meki. Lo shōchū condivide con il sake gran parte della fase produttiva ma si differenzia per l’ultima fase finale – assente nel sake – nella quale il fermentato ottenuto viene appunto distillato. Per indicare quello autentico si usa il termine konkaku shōchū 

 

 

Le diverse tipologie 

In base alla materia prima di partenza, esistono varie tipologie di shōchū. Vi sono lo shōchū di riso (kome), di orzo (mugi), di patate dolci (imo), di zucchero di canna (kokuto) e quello ottenuto a partire dagli scarti della produzione di sake (sakekasu). Il più comune è quello di orzo e di patate dolci, mentre quello di riso è conosciuto perlopiù in Giappone che in Italia. Variando la materia prima di partenza, cambia nettamente il risultato finale: basti pensare che mentre l’orzo conferisce note di popcorn, le patate apportano sentori vinilici e di acetone, più tipici della vodka. 

 

La produzione 

Il processo inizia con la sbramatura del riso e i conseguenti passaggi di lavaggio, macerazione e cottura a vapore. Si procede con la fermentazione della materia prima di partenza che, a differenza del sake, prevede l’utilizzo di Aspergillus oryzae nella varietà bianca, mentre nell’analogo di Okinawa, la DOP locale chiamata Awamori, si utilizza il Koji nero. In concomitanza, vengono aggiunte le altre materie prime – patate dolci, orzo, zucchero di canna, ma anche shiso, daikon o sobache danno vita alle diverse tipologie – mugi, imo, kokuto, ecc…- in tempi e modi diversi da ingrediente a ingrediente. Una volta conclusa la fermentazione, si passa alla distillazione nell’alambicco, che scalda e distilla a pressione atmosferica o sotto vuoto. Al termine, il prodotto di 40-45% vol. viene diluito fino a un massimo di 25% vol., per evitare che il prodotto a base orzo sia troppo simile al whisky. 

 

 

Le particolarità 

Trattandosi di un distillato e non di un fermentato, è possibile che nello shōchū si utilizzi un riso da tavola piuttosto che da sake, mentre nell’Awamori la varietà utilizzata è la Indica, a grana lunga. Come nel sake, vi sono due sottopassaggi della fermentazione: il moromi primario con riso e koji (nel sake si chiama shubo) che dura due settimane e il moromi secondario (nel sake si chiama moromi), che avviene in una tanica da 2-3000 litri. Gli ingredienti possono essere aggiunti nel moromi primario, come l’orzo, oppure nel secondario, come le patate dolci. 

 

L’invecchiamento 

Essendo un distillato importante, spesso capita che si decida di invecchiarlo, per ottenere un risultato più complesso e rotondo. Nel caso in cui si opti per questa strada, difficilmente si sceglie di diluirlo, altrimenti si viene a perdere il senso del processo, che può durare anche fino a un periodo di 10 anni e oltre. 

 

 

Il consumo in purezza e in miscelazione (risposta con l’aiuto di Domenico Carella di Carico Milano)  

Nonostante si tratti di un distillato già diluito, in Giappone è usanza consumarlo diluendolo con acqua calda o fredda, che aiuta a stemperare le note viniliche, raggiungendo un grado alcolico di 15% vol., oppure nella variante on the rocks. Essendo diluito, può essere bevuto al pari del vino in un pasto e non, come altri distillati, al termine dello stesso. Può essere utilizzato anche nei cocktails, per dare un kick di carattere, in particolare nei sour.  

 

 

Ricetta di un cocktail a base shōchū 

Shōchū Sour: 

  • 20ml di succo di limone  
  • 20 ml di sciroppo di Zucchero 
  • 5 ml di aceto di riso 
  • 40 ml di shōchū 
  • 10 ml di albume  
  • 4 drops di Peychaud bitter  

Preparazione: 

Shakerare tutti gli ingredienti in ghiaccio, quindi in dry shake. Servire on the rocks con un peel di limone o yuzu. 

 

Lorenzo Ferraboschi ringrazia il massimo esperto di shōchū italiano Luca Rendina per avergli trasmesso le nozioni sul tema. 

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Redazione MT Magazine

MT Magazine è una finestra sempre aggiornata sul mondo della miscelazione italiana e internazionale. Nata nel 2017, da un’idea di Laura Carello, il progetto ambiva a creare una guida circoscritta ai cocktail bar di Torino e Milano, in pochi anni poi si è ingrandita al punto tale da diventare un vero e proprio magazine di riferimento per il settore della mixology e gli appassionati di cocktail.

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