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Che cos’è il whisky e come si produce? Ne abbiamo parlato con Giacomo Bombana

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Scozzese, irlandese, giapponese e americano. Il whisky è il re dei distillati e, come tale, ha un ruolo da protagonista nel cuore di chi ama gli spirits da meditazione. A distanza di un anno e mezzo dall’ultima volta, abbiamo re-intervistato il fondatore del sito di divulgazione indipendente WhiskyFacile, Giacomo Bombana, che ci ha raccontato alcuni dei segreti dietro alla scelta degli ingredienti e al processo di produzione del distillato per antonomasia.

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Che cos’è il whisky

Dal gaelico uisgebeatha, il cui significato è acqua di vita e quindi acquavite. Da qui arriva la parola whisky, codificata dai gaeli, la popolazione che abitava Scozia e Irlanda in quel periodo. Il whisky è un distillato prodotto a partire da cereali che, con l’aggiunta di lievito, subisce prima una fermentazione, poi una distillazione e quindi un invecchiamento. “Nel tempo, sono cambiate diverse cose nella produzione di whisky. A volte, in Irlanda si usavano le patate in sostituzione dei cereali e il distillato non subiva mai invecchiamento. Poiché le tecniche di distillazione erano ancestrali e il risultato finale era piuttosto deciso, il whisky veniva edulcorato con spezie e miele e, di conseguenza, si otteneva una bevanda molto diversa rispetto a quella di oggi”. Oggi, il whisky viene lasciato in purezza, per far apprezzare tutte le note gustative di un distillato, che si può definire da meditazione.

Le tipologie di whisky

whisky tipologie

Oggi si distinguono principalmente due tipologie di whisky: single malt e blended.

I single malt sono whisky ottenuti da una singola distilleria a partire da orzo, mentre i blended, che costituiscono oltre il 90% del mercato, sono ottenuti a partire da whisky di almeno due distillerie, in cui a una parte di single malt si abbina del grain whisky, prodotto a partire da miscele di cereali, come orzo, mais, segale, avena, granoturco, che vengono distillate in alambicchi a colonna, per ottenere una base alcolica abbastanza neutra.

Parlando di varietà di cereale, invece, si distinguono altre due tipologie di whisky: il bourbon, che ha almeno il 51% di mais e che è riconosciuto dagli anni ’60 come l’unico distillato autoctono statunitense, e il rye, prodotto con almeno il 51% di segale in Canada e USA. “Mentre il primo è più zuccherino, il secondo risulta speziato, quasi piccante in bocca”.

Gli ingredienti del whisky

Orzo maltato, lievito e acqua.

Sono questi i tre ingredienti alla base del whisky di qualità che beviamo oggi. Rispetto al vino, non vi è la stessa attenzione sulla territorialità dell’ingrediente. “La Scotch Whisky Association, per esempio, ammette l’utilizzo nel proprio disciplinare di orzo non scozzese e in tante distillerie, infatti, utilizzano orzo proveniente dall’est Europa, dalle ottime rese”. 

Anche per quanto riguarda il lievito, il discorso è analogo. I lieviti utilizzati dal 90% delle distillerie per la fermentazione sono industriali e, di conseguenza, trasformano in modo abbastanza standardizzato il gusto del chicco. Non vi è, come per il vino, una ricerca di lieviti spontanei, che possa dar vita a prodotti artigianali. 

Diverso è invece il discorso per l’acqua, che può essere neutra, di fonte o acquedotto. L’utilizzo di un’acqua, che sia morbida, dura o ricca in calcio o ferro, impatta in modo significativo sul risultato finale. 

La maltazione e fermentazione

whisky fermentazione

Il primo passaggio (fondamentale) nella produzione del whisky è la maltazione, che serve a spezzettare le catene di carboidrati dei cereali in zuccheri, a loro volta fermentati dai lieviti. Senza questo passaggio, non potrebbe esserci la fermentazione. Una volta bagnato, l’orzo viene lasciato in ammollo, viene fatto riposare e quindi privato dell’acqua non appena inizia la germinazione. Proprio questo passaggio, lo stop della germinazione, prende il nome di maltazione. Due sono le modalità con le quali può avvenire: attraverso dell’aria calda o del fumo di torba. In quest’ultimo caso, il whisky sarà di tipo torbato e avrà quindi un gusto affumicato.

Dopo la maltazione, i chicchi di orzo vengono ridotti a farina. “Per la fermentazione, si lava la farina. In questo modo, si ottiene un liquido zuccherino, che viene lasciato fermentare con i lieviti”. Nutrendosi di zuccheri, i lieviti producono alcool (fino a 9-12°) e sostanze aromatiche, il cui genere può variare in base alle ore di fermentazione. Se il tempo di fermentazione supera le 100 ore, ad esempio aumenta la presenza di esteri, che al whisky conferiscono note più fruttate. Se il whisky che si vuole ottenere è invece più maltoso e ‘cerealoso’, il tempo di fermentazione sarà tendenzialmente più breve.

La distillazione

“Il 70-80% del carattere di un whisky è dato dalla distillazione e dall’invecchiamento. Il whisky è, in fondo, un distillato molto semplice: ha solo tre ingredienti, più un quarto, il tempo, che può cambiare in modo radicale il risultato finale”.

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A differenza della vodka, il cui obiettivo è quello di ottenere un distillato più puro possibile, nel whisky si tende a fare una doppia distillazione discontinua, per preservare la personalità organolettica del new make spirit. La distillazione non permette solo di aumentare il grado alcolico – con la prima si arriva a 23-25° e con la seconda a 70-75° – ma anche di calibrare il profilo gustativo del whisky. Se nel bicchiere si vuole avere un distillato spigoloso, allora bisognerà mantenere le cosiddette code, ovvero le ultime frazioni del distillato, composte da costituenti volatili che bollono oltre i 100°C e che sono ricche di aromi. Se il prodotto dovrà essere più delicato, allora bisognerà raccogliere solo il cuore della distillazione, tagliando ovviamente le teste – la prima frazione del distillato – e le code. 

La delicatezza del prodotto finale dipende, però, anche dalla forma dell’alambicco. Ad esempio i condenser moderni, composti da piccoli tubicini in rame, tendono a produrre un distillato più delicato; un alambicco dalla forma tozza è responsabile di distillati corposi. La distillazione è un passaggio importante, anche perché in grado di regolar il livello di torbatura del whisky. “Se in fase di maltazione si è utilizzata tanta torba, in distillazione si può sempre decidere di ridurre la concentrazione di fenoli”

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L’invecchiamento

“Oltre la metà del sapore del whisky è dato dall’invecchiamento, passaggio che tra l’altro è obbligatorio in Scozia e Irlanda per almeno 3 anni affinché il whisky sia definito come tale”. 

Lo scelta del legno può impattare diversamente sul whisky. Se si sceglie una quercia bianca del nord America si apporterà dolcezza, una quercia francese tannicità e una giapponese speziatura. Il trattamento del legno non ha minor importanza. 

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La tostatura o carbonizzazione effettuata permettono di conferire sentori diversi al whisky, così come la tipologia di distillato prima presente nella botte utilizzata. “Nell’800, gli inglesi usavano solo botti di sherry e porto per l’invecchiamento. Da tanti decenni, però, ci si è accorti che il whisky invecchia ottimamente in botti che hanno contenuto in precedenza Bourbon. In alternativa, si può invecchiare in botti di Madeira, Marsala, Chardonnay, birra o anche botti nuove, di primo passaggio. Si può anche decidere di far fare una parte dell’invecchiamento in una botte, poi in un’altra e così via”. Impattano in modo importante sul whisky anche la durata dell’invecchiamento, la dimensione della botte e il luogo in cui viene effettuato. “Un whisky invecchiato a pochi metri dal mare risulterà probabilmente sapido al palato”. 

giacomo bombona

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Alessio D'Aguanno

Alessio D'Aguanno

Alessio D’Aguanno è il copywriter. Intervista bartender e racconta il lavoro che questi ultimi fanno nei cocktail bar italiani e di tutto il mondo, sia nel blog che nella guida cartacea.

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