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Dall’agave al mezcal: il racconto di Cristian Bugiada

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mezcal cristian bugiada

Il mezcal è uno degli spirits più in voga negli ultimi anni. Il merito è dovuto, in gran parte, al lavoro che Cristian Bugiada, il bar manager de La Punta Expendio de Agave – locale romano con oltre 700 etichette di distillati a base agave – ha fatto con il suo socio Roberto Artusio sin dal 2013. Oggi il mezcal vive una seconda vita, grazie anche alle sue caratteristiche gustative, alla storia che lo precede e al legame con la pianta da cui nasce: l’agave.

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La pianta dell’agave

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L’agave non è solo una pianta, ma una grande famiglia di varietà botaniche del genere Asparagaceae: la stessa, per intenderci, degli asparagi. Endemica nell’America, è stata portata in Italia – dal centro al sud – con la scoperta ‘delle Indie’ nel 1492 di Cristoforo Colombo, da parte degli spagnoli, i quali hanno importato in Europa anche pomodoro e cacao. “Prima con Hernan Cortes e poi con Francisco Hernanes da Cordoba, l’agave è stato studiato e classificato, fino a capire quanta importanza ricoprisse nelle comunità precolombiane”. All’interno di questa pianta, vi era un liquido dolce denominato aguamiel: una linfa ricca di zuccheri, vitamine, sali minerali e, in generale, di molti nutrienti. “Il suo ruolo nelle comunità era centrale, poiché dava sostentamento alle zone povere, dove non vi erano né cibo e né acqua. Per questo motivo, la pianta era considerata sacra e custode della dea della fertilità Mayahuel”.

La nascita del pulque

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Per caso, le popolazioni si accorsero che se l’aguamiel non veniva consumato subito appena raccolto, dopo tre giorni iniziava a fermentare in maniera spontanea grazie ai lieviti già presenti nell’aria. “Il risultato era una bevanda acida, un po’ frizzante e alcolica”. Non avendo idea di cosa fosse l’alcool, l’ebbrezza della bevuta fu associata alla connessione con la divinità. La bevanda, fermentata prese il nome di “octili poliqui”, letteralmente “bevanda andata a male molto velocemente”, parole che gli spagnoli compressero in pulque. 

A differenza dei messicani, gli spagnoli avevano consapevolezza dell’alcool, di conseguenza scissero la divinità Mayahuel dal pulque, estirparono la religione presente, la sostituirono con quella cattolica e introdussero la lingua spagnola. “Questo fa del Messico uno stato tuttora relativamente giovane, il cui fascino dipende in gran parte dalla sua diversità culturale”. Per completare l’obiettivo, gli spagnoli provarono anche a portare l’agave in Europa ma si accorsero che, per motivi climatici, non riusciva a produrre gli stessi zuccheri che ai tropici, e di conseguenza non poteva essere utilizzata a scopo gastronomico, ma solo ornamentale e per l’estrazione dell’inulina: una fibra prebiotica, in grado di aumentare la densità di bifido batteri e di diminuire quella di batteri nocivi.

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Pur essendo stato centrale nelle comunità latino-americane per tanto tempo, la tradizione del pulque si perse quasi del tutto in Messico, quando arrivarono le contaminazioni europee, che introdussero la birra, una bevanda molto più semplice da produrre e che non aveva bisogno dei lunghi tempi di maturazione della pianta. “Oggi, per fortuna, tra i giovani si beve di nuovo il pulque: nelle case, nei locali e anche nelle grandi città come Guadalajara e Città del Messico. Oggi ci sono delle pulquerie: locali a tema dove si possono assaggiare diversi tipi di pulque, sia al naturale, che con diversi ingredienti all’interno, come frutta, frutta secca e spezie”.

La nascita del mezcal e le sue caratteristiche

Se la nascita del mezcal sia da attribuire o meno agli spagnoli è tuttora in dubbio. La teoria più accreditata sostiene che siano stati loro a portare le tecniche di distillazione, a loro volte apprese dagli arabi, in Messico. Un’università messicana sta invece facendo ricerche per sostenere il contrario, che quindi il mezcal fosse presente già prima dell’arrivo della popolazione europea, per ritrovamenti di pezzi che sembrano ricordare un alambicco. 

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Nonostante questi dubbi, oggi si sa che il termine mezcal significa agave cotto e che, pertanto, racchiude sotto il suo cappello tanti altri distillati, come tequila, lo stesso mezcal, e raicilla e bacanora. Per fare il tequila, si può usare solo agave azul, per il bacanora esclusivamente l’agave angustifolia e per il mezcal una cinquantina delle circa 200 varietà di agave presenti in natura. “Il mezcal si può produrre in 10 regioni diverse del Messico, a differenza delle 5 del tequila, in un’area grande 500.000 km2. Senza dubbio, la varietà di agave più utilizzata per la produzione di mezcal è l’angustifolia, in gergo denominata agave espadin. Endemica nella regione di Oaxaca, viene preferita alle altre specie perché cresce più in fretta – in 6-8 anni arriva a maturazione – e ha una quantità di zuccheri molto alta. Tutte caratteristiche, queste, che ne determinano una resa maggiore. Per fare un litro di mezcal, servono dai 5 agli 8 kg di agave espadin, mentre di altre varietà, solitamente quelle selvatiche, servono 20 kg di pianta”.

La produzione del mezcal

Per produrre mezcal, prima di tutto, si raccoglie l’agave a piena maturazione. Una volta eliminate le foglie, si tiene solo la piña, il cuore della pianta, al cui interno sono concentrati la maggior parte degli zuccheri. Poi, la piña viene cotta in un forno conico interrato, alimentato a legna. Questo passaggio serve a scindere gli zuccheri complessi o carboidrati in zuccheri semplici, che verranno poi estratti grazie alla pressione della tahona: una pietra circolare trainata da un cavallo. Nella terza fase, i succhi fermentano spontaneamente – grazie ai lieviti presenti nell’aria – in alcool, il quale verrà separato da acqua e impurità in una fase successiva: una distillazione discontinua, che si suddivide in due passaggi, al fine di ottenere un risultato più ottimale possibile. 

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“Ogni passaggio della produzione incide sul gusto finale del mezcal: il materiale dell’alambicco – acciaio, rame o terracotta – quello dei tini di fermentazione – legno, plastica, pietra, pelle bovina – così come il terroir della pianta e la sua varietà. In Messico c’è una grande biodiversità di agave. Oltre all’angustifolia e alla tepeztate di Oaxaca, qui crescono la cupreata in Michoacan, la Salmiana di San Luis Potosì, la durangensis a Durango e molte altre. Anche l’invecchiamento incide eccome. Qualcuno lo fa, ma è una fase più caratteristica del tequila, perché da sempre molto più orientato verso il mercato USA, che ricerca questo tipo di gusto”. 

La moda degli ultimi anni

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“La moda, per così dire del mezcal, in Italia dipende da tantissimi fattori. Io e Roberto Artusio, il mio socio, siamo stati tra i primi a proporlo dieci anni fa. Tra il 2013 e il 2014 abbiamo iniziato a viaggiare per il Messico e così abbiamo fatto per circa trenta volte, per conoscere tutti i dettagli di questo mondo affascinante, che non vedevamo l’ora di raccontare a La Punta Expendio de Agave a Roma. Credo che quel periodo sia stato quello giusto, perché proprio in quel momento il mercato del mezcal e degli altri distillati si stava muovendo in tutto il mondo. In Italia, ha fatto breccia perché credo abbia una grande affinità con il vino. Il risultato di un mezcal, infatti, dipende da tutte le fasi della produzione, compreso il terroir e la varietà della pianta. Inoltre, i bartender si sono innamorati di questo prodotto: per il suo gusto, ma anche perché a differenza degli altri spirits ha una storia da raccontare, che parla di territorio, tradizioni e popoli”.

Che gusto ha il mezcal e come va degustato

Le proprietà aromatiche del mezcal possono essere le più svariate. La nota affumicata, caratteristica, può essere più o meno intensa a seconda della cottura effettuata sulla piña. Poi, ci possono essere dei sapori avvolgenti, cremosi e complessi, così come vegetali, minerali, acidi, lattici di fermentazione, ma anche terrosi, fruttati, citrici e, se il mezcal è invecchiato, anche di legno, vaniglia e frutta matura: i tipici sapori terziari dati dall’invecchiamento in legno.

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“El mezcal se toma a besos”. In Messico, si dice che il mezcal si beve a bacetti, ovvero a piccoli sorsi. Rispetto a un tempo, in cui mezcal (e anche tequila) facevano rima con chupito, oggi gli agave spirits si bevono sorseggiando, in bicchieri appositi. Per il mezcal, si è soliti usare una copita di terracotta, una piccola coppetta, le jicaras, contenitori dalla stessa forma, ma ricavati da un frutto essiccato, come il cujete, o le tradizionali veladoras: i porta lumini di vetro da cimitero, senza la candela.

Come si utilizza in miscelazione

Nei cocktail, il mezcal apporta un carattere unico, che in pochi altri spirits sanno dare. L’inconfondibile nota tostata risulta perfetta per sostituire il tequila in tre totem della miscelazione latino-americana: Paloma, Margarita e Tommy’s Margarita. Così come per rivisitare classici che appartengono alla storia della mixology americana ed europea: il Negroni, che in questa variante prende il nome dell’ormai popolare Mezcal Nergroni, e l’Old Fashioned, in cui il mezcal viene utilizzato per rimpiazzare il whisky.

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“Io suggerisco di utilizzare mezcal più semplici possibili a livello di flavour. Il motivo? Il mezcal ha già un gusto molto forte e, se viene scelto un prodotto eccessivamente affumicato o lattico, rischia di prevaricare sugli altri ingredienti”.

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Alessio D'Aguanno

Alessio D'Aguanno

Alessio D’Aguanno è il copywriter. Intervista bartender e racconta il lavoro che questi ultimi fanno nei cocktail bar italiani e di tutto il mondo, sia nel blog che nella guida cartacea.

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